Mangiamo troppi grassi e troppi zuccheri. Non mangiamo una sufficiente quantità di frutta e verdura. Ce lo ripetono tutti, ma è difficile "regolarsi". D'altronde, il problema riguarda sia gli adulti che i bambini. Ed è proprio dai bambini che deve cominciare l'educazione verso una corretta alimentazione. Facile a dirsi, ma come possiamo mettere in pratica tutto questo?
Bisogna far in modo che i bambini e i ragazzi scoprano gli aspetti scientifici più divertenti e applicativi di frutta e verdura. In generale, è utile anche ai ragazzi capire cosa c'è dentro il cibo, meglio se tramite esperimenti che possano condurre da soli o con l'aiuto o la supervisione di un adulto.
Expo Milano 2015, padiglione del Kazakhstan: la mela da 1 kg a confronto con una "normale"
Ad esempio, la mela, originaria dell'Asia centrale - non a caso in Kazakhstan si producono mele da 1kg ciascuna !!! - può essere tagliata in modo da scoprire la stella contenente i semi. E, con la stella, anche la matematica della bellezza delle proporzioni.
E poi, lo sapevate che l'acino d'uva, sulla sua buccia, ospita migliaia di minuscoli esseri viventi? Con due sacchetti di plastica, un po' d'uva e del lievito liofilizzato è possibile produrre alcol e anidride carbonica. Occorre schiacciare gli acini, far uscire l'aria e mettere al caldo. I lieviti (quelli dell'uva e quelli aggiunti) mangiano lo zucchero dell'uva e lo trasformano in alcol e anidride carbonica. L'aria va tolta dai sacchetti, perché la reazione di verifica in assenza di ossigeno.
A proposito, se non volete mangiare troppi zuccheri, occhio ai datteri: più della metà di un dattero è fatta di zucchero.
Uva (Benevento)
E infine, avete comprato troppa frutta? Una parte di essa è ormai completamente marcia? Questo non è un caso, dietro questo fatto c'è una ragione che ha addirittura a che fare con l'evoluzione: la frutta marcisce al fine di eliminare la polpa per far uscire i semi. In questo modo, dai semi, nasceranno nuove piante....
Walter Caputo (autore anche delle foto contenute in questo articolo)
Pizza ortolana (Ristorante "A figlia d'o marenaro" - Napoli)
Cosa c'è di meglio di una bella pizza ortolana? Una pizza ortolana gustata a Napoli, ovvero nel luogo in cui la pizza è nata. Quel cornicione alto e la foglia di basilico richiamano immediatamente la tradizione napoletana.
Ma, senza farina, il vostro piatto resterebbe vuoto. Niente pizza. E allora, cosa succede nel piccolo chicco di una graminacea?
Innanzitutto dobbiamo considerare la strategia della pianta, che è quella di morire, per consentire la nascita di tante vite. Come fanno i genitori con i propri figli, la pianta madre - nell'ultima fase della sua esistenza - si preoccupa di ciò che servirà ai suoi figli per crescere e svilupparsi.
Ma com'è fatta una pianta di graminacea? E' costituita da un asse principale, spesso verticale, detto culmo. Quest'ultimo è composto da nodi e internodi. Dai nodi si dipartono le foglie. Le radici si sviluppano nei primi 10-15 centimetri di terreno.
All'apice del culmo si trova l'infiorescenza (spiga o pannocchia). Il polline, che in genere comincia ad essere trasportato dal vento nel mese di maggio (e ne sanno qualcosa coloro che sono allergici alle graminacee), è caratteristico della fase di fioritura.
Spiga (Benevento)
Il successo della fecondazione consente la nascita di un frutto secco (che ha solo il 13%/14% di contenuto idrico), detto cariosside. Esso contiene una pianta in miniatura, un magazzino di sostanze nutritive (zuccheri, proteine, vitamine, grassi, fibre) e tutte le informazioni genetiche necessarie per il suo sviluppo. Quest'ultimo procede soltanto grazie all'acqua: infatti, solo quando il contenuto idrico della cariosside giunge al 30% circa, viene innescata la crescita delle foglie e delle radici.
L'assorbimento dell'acqua avviene nel terreno, in particolare tramite l'idrolisi dell'amido. A partire da quest'ultimo, che si trova nel magazzino delle sostanze nutritive, vengono messi a disposizione zuccheri più semplici per la piccola piantina.
Volendo usare termini informatici, il sistema operativo della graminacea si chiama meristema. Una parte si trova sull'apice del culmo e funziona come sensore: registra le condizioni esterne per fornire istruzioni di crescita alla pianta. Un'altra parte del meristema si trova in corrispondenza di ogni ascella di ciascuna foglia (ovvero dove nascono nuove foglie). Infine, in corrispondenza di ogni internodo, c'è un meristema intercalare, il cui fine è "allungare" la pianta verso l'alto appena comincia l'infiorescenza.
Mais (Expo 2015: padiglione del Kazakhstan)
Trovate molto di più di quanto ho qui sinteticamente riportato, nell'ottimo libro di Stefano Bocchi, "Zolle - storie di tuberi, graminacee e terre coltivate" (Raffaello Cortina editore). Come ben scrive l'autore, il libro vi servirà soprattutto per comprendere i "futuri problemi di produzione alimentare, cura del territorio, alimentazione, uso sostenibile delle risorse".
Walter Caputo (autore anche delle foto di questo articolo)
Se andate all'Expo di Milano (aperto fino al 31 ottobre 2015), e volete saperne di più sull'olio di palma, allora vi consiglio di visitare il padiglione della Malesia. Dopo la foresta pluviale, popolata di tapiri, orsi, tigri e pangolini, scoprirete che l'Indonesia e la Malesia forniscono l'85% di tutto l'olio di palma utilizzato a livello mondiale. E, nei due paesi citati, 4,5 milioni di persone si guadagnano da vivere proprio grazie a quest'olio, che spesso è fonte di discussioni. Se quindi volete indagare sull'olio di palma, siete nel posto giusto.
Se volete invece trovare le palme da olio dovete recarvi nelle regioni intorno all'equatore. Infatti la palma ha bisogno di sole e umidità, temperature comprese fra 24°C e 32°C e precipitazioni uniformemente distribuite nell'arco dell'anno.
Ma occorre innanzitutto distinguere fra olio di palma, estratto dal frutto ed olio di palmisto, estratto dal nocciolo. Si tratta in ogni caso di un olio di origine vegetale. I primi frutti vengono raccolti dalla pianta quando ha tre o quattro anni, e la sua durata può giungere fino a 30 anni! Insomma, si tratta di una coltura piuttosto efficiente in termini di rendimento per unità di superficie coltivata. Di conseguenza l'olio di palma è abbastanza economico e - non a caso - moltissimi prodotti che trovate al supermercato (compreso la Nutella) contengono olio di palma. Non sorprende che la produzione mondiale di questo olio sia quadruplicata nel giro di circa 20 anni.
Olio di palma certificato RSPO
E allora come contrastare l'eccessivo utilizzo di suolo destinato alla produzione di olio di palma? Grazie ad una pubblicazione della "European Palm Oil Alliance", il cui obiettivo è informare i consumatori in modo equilibrato sulle caratteristiche dell'olio di palma, ho scoperto che sono stati definiti gli standard per "l'olio di palma sostenibile". D'altronde, da un lato ci sono esigenze economiche, nel senso che lo sviluppo di alcuni paesi poveri dipende proprio dall'olio di palma, mentre dall'alto ci sono rischi di pratiche agricole non sostenibili (ad es. l'uso eccessivo di pesticidi o la violazione dei diritti delle comunità locali), di deforestazione e di riduzione della biodiversità.
Ecco perché, nel 2004, è nata la RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil - Tavola rotonda sull'olio di palma sostenibile: dal 13 al 16 novembre 2015 si terrà la 13esima conferenza), un'associazione senza fini di lucro che unisce produttori, esportatori, trasformatori e distributori di olio di palma su alcuni punti essenziali per produrre in modo sostenibile:
- trasparenza e rispetto delle leggi;
- sviluppo economico di lungo termine;
- responsabilità ambientale e conservazione delle risorse naturali e della biodiversità.
Acidi grassi saturi nella pizza surgelata
Attualmente la RSPO ha 2356 membri e - al 31 luglio 2015 - la porzione di olio di palma certificato RSPO a livello globale è pari al 20%. Insomma, fatto sta che, appena tornato dall'Expo, apro un cassetto della cucina e trovo un surrogato di nutella, da poco acquistato in un supermercato tedesco a Puerto de la Cruz (Isola di Tenerife - Arcipelago delle Canarie). E scopro che l'olio di palma contenuto al suo interno è certificato RSPO (si veda l'immagine). Con quali benefici? Riduzione delle emissioni di gas serra, migliore trattamento dei rifiuti, minore uso di pesticidi, maggiore rispetto delle normative in vigore nei paesi di produzione, riduzione degli incidenti sul lavoro e aumento della produttività.
Infine, il contenuto di grassi nell'olio di palma è piuttosto equilibrato fra saturi e insaturi. Quindi il contenuto di acidi grassi saturi (che possono danneggiare la salute - l'EFSA ne raccomanda l'assunzione più bassa possibile) oscilla tra il 45 e il 55%, come lo strutto. Sicuramente la percentuale è più elevata rispetto agli oli d'oliva, di girasole e di colza, nei quali gli acidi grassi saturi non superano il 20%. Ma è anche vero che nel burro, nell'olio di cocco e nel burro di cacao gli acidi grassi saturi superano il 60%. Avete mangiato tortellini burro e salvia a pranzo, oppure avevate finito il sugo e avete cucinato degli spaghetti al burro? Mica vi piacciono i biscotti al burro?
Se invece optate per una pizza, anche surgelata (non tutte le pizze surgelate sono sgradevoli rispetto a quelle consumate in pizzeria), sappiate che - in 100 grammi di pizza - ci sono soltanto 3,4 grammi di acidi grassi saturi, quindi - con una pizza intera da 380 grammi assumerete circa 12,9 grammi di acidi grassi saturi.
Sabato 16 maggio 2015, a Torino, la giornata era splendida: alle 19 c'era ancora un bel sole, ma senza la soffocante umidità di questi giorni d'agosto. Da Miele, in Piazza Bodoni 4/M, si era in attesa di un evento di show cooking con il pizzaiolo-scrittoreCristiano Cavina. Ho già scritto sul suo libro, "la pizza per autodidatti" (editore Marcos y Marcos), un ottimo esempio di romanzo-saggio, ovvero una guida per tutti coloro che vogliono lavorare nel settore, ma anche una divertente lettura per chi cerca semplicemente un buon romanzo.
Fra il pubblico, si notava la presenza di una parte della redazione di Gravità Zero, in cerca di interessanti informazioni scientifiche sulla pizza, da pubblicare dove, se non su questo blog specifico, che tratta di Pizza e Scienza? (d'accordo, in questo blog ci si allarga ogni tanto verso la "scienza in cucina".....).
Cristiano Cavina mostra l'impasto
Con il piglio di chi - in 20 anni - ha sviluppato proprie abilità, ricette e trucchi del mestiere, Cavina esordisce con questa affermazione: "Non farò il mio impasto, perché sarei dovuto venire una settimana prima". Cristiano coglie quindi l'occasione per informare il pubblico che esistono pizzerie che fanno l'impasto il pomeriggio per la sera, ma, in questo modo, la pizza - non avendo terminato la lievitazione - continuerà a lievitare nello stomaco dei malcapitati, i quali sentiranno molta sete (e la attribuiranno al sale...).
Innanzitutto, quale farina conviene utilizzare? Cavina preferisce una zero rinforzata, evitando il farro e il kamut, in quanto sono troppo dure da impastare e la pizza non viene bene. D'inverno utilizza la farina di castagne, che è comunque difficile da "domare". In ogni caso, quando si ha a che fare con farine "selvagge", si può sempre fare una focaccia con il cioccolato, oppure con nutella e pepe o anche con olio e pancetta. Per far sì che la farina "tenga il pomodoro", se si vuole usare quella di castagne, conviene tagliarla con un'altra farina.
E l'impasto? Farina, acqua, lievito e zucchero. Dopo si aggiunge un po' di sale e infine olio d'oliva, ma non l'extravergine, perché "sa troppo di olio" e rovina il gusto della pizza. Inoltre, come eliminare quel fondo della pizza (dopo la cottura) che risulta sempre troppo umido e talvolta anche gommoso, se non si dispone di un forno a legna? Nel forno di casa vostra potreste aggiungere una pietra refrattaria: la base della pizza, dopo la cottura, risulterà decisamente migliorata.
I panetti
Fare le palline di impasto (in termini tecnici, il panetto) è una delle cose più difficili da imparare. Come si vede nel video qui sotto, il trucco è utilizzare le mani, ma senza strofinare la pallina sul piano. Piuttosto, è opportuno fare un buco (sotto la pallina), che poi va coperto.
Altro trucco: e se dovete fare una pizza vegetariana (che peraltro è la mia preferita, nella versione senza pomodoro....)? Il suggerimento di Cristiano è: non cuocete prima melanzane e peperoni, ma fateli direttamente in graticola, nel forno a legna! Inoltre, sopra la pizza è meglio non mettere la salsa di pomodoro: conviene usare la polpa di pomodoro con un po' d'olio, di acqua, sale quanto basta, origano o - se l'origano non piace - pepe. In ogni caso il pomodoro va spalmato dal centro verso l'esterno.
La crosta, sebbene sia ricca di utili antiossidanti, non è obbligatoria. Si può anche non fare: il pomodoro terrà lo stesso.
Il problema è piuttosto la mozzarella: se si intende utilizzare quella di bufala, bisogna prima strizzarla. Inoltre occorre evitare di fare la conca al centro della pizza, perché sarà lì che si concentrerà l'acqua.
Fra il pubblico c'è chi prova a fare la pizza, chi assaggia, chi osserva e chi pone quesiti
Durante lo show cooking, Cavina non ha a disposizione il "suo" forno a legna che tiene 16 pizze, ma solo un forno elettrico, che non supera i 225°C.
Avverte quindi il pubblico che la temperatura è troppo bassa, inoltre la prima pizza che uscirà assorbirà calore e - rendendo il forno più freddo - peggiorerà la qualità della seconda pizza.
Giustamente Cristiano conclude con il dolce: perché non mettere la marmellata nella pizza? Si può chiudere, piegare e innaffiare con un adeguato liquore (in questo caso il Grand Marnier è perfetto. E qui mi viene in mente che la crepe al grand marnier è la mia preferita. Ora ho decisamente fame....).
Walter Caputo (autore anche delle foto e del video di questo articolo)
Vedete la ciotola bianca? Provate a colpire la superficie con una bella martellata!
In occasione della mostra "La Scienza in cucina", ancora aperta fino a domenica 10 maggio, stamattina alle 10 ho potuto assistere ad un'interessante conferenza del giornalista scientifico Antonio Lo Campo. Tema: il cibo nello spazio.
Non poteva quindi mancare una mia domanda finale: "E la pizza?". La pizza, in orbita, non c'è ancora andata. Ma potrebbe essere solo una questione di tempo, nel senso che è innegabile che essa piaccia a molti astronauti (e non solo italiani !!!), ma dobbiamo pazientare un po'. Bisogna dar tempo alla scienza e alla tecnologia, affinché si riesca ad integrare il menu spaziale con uno dei piatti più mangiati al mondo.
D'altronde l'astronauta Paolo Nespoli aveva chiesto di poter mangiare pizza sulla Stazione Spaziale Internazionale, ma - mentre era già in orbita a 400 km sopra le nostre teste - gli hanno detto che non era possibile. Chissà come si sarà sentito.
Birra e Azoto. Altrimenti, niente schiuma!
Il problema è che la pizza è un cibo delicato, è difficilmente conservabile a lungo, anche se venisse trattato in maniera adeguata. Quella surgelata? Sulla Stazione Spaziale non c'è il frigorifero, né il congelatore, in quanto consumano troppa energia elettrica, quindi bisogna puntare proprio su qualche innovazione che consenta la conservazione della pizza, e ne mantenga il sapore a livello - almeno - accettabile.
Mi auguro che il prossimo astronauta italiano (dopo Samantha Cristoforetti, la cui missione pare sia stata prolungata di un mese) possa mangiare una bella pizza, possibilmente condividendola con gli altri colleghi, sulla Stazione Spaziale, come in pizzeria. Magari la Argotec di Torino, che ha preparato il menu degli ultimi astronauti italiani, potrebbe inventare qualcosa...... e, perché no? Potrebbe avvalersi dell'Accademia Pizza e Scienza !!!
L'esplosione di un uovo, appena uscito dal forno a microonde
Intanto, a proposito di esperimenti di scienza in cucina, terminata la conferenza, sono andato a dare un'occhiata alla mostra. La trovate aperta ancora oggi pomeriggio fino alle 18 e domenica 10 maggio dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 18 (Sala delle Arti, Parco Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Via Torino 9, Collegno, TO).
Cosa troverete? Una risposta a domande molto interessanti, ad esempio:
- Come funziona un fluido non newtoniano?
- Come si cucina sopra una piastra ad induzione?
- Com'è possibile che la schiuma della birra Guinness derivi da una pallina di azoto?
- Quali sono i passi da compiere per far esplodere un uovo in un forno a microonde?
- Si può accendere una lampadina senza energia elettrica?
La
pizza è di per sé un piatto completo, ma non dobbiamo esagerare
con affettati e formaggi. Alla classica base di pomodoro, mozzarella,
origano o basilico, possiamo aggiungere delle verdure, del tonno e
goderci così un buon piatto gustoso e anche nutrizionalmente
corretto. I carboidrati, le proteine, le fibre, le vitamine saranno
così ben distribuiti all’interno di un piatto appetitoso.
Nell'Accademia Pizza e Scienza
Una
nota particolare la si può dedicare all’olio di oliva e al
pomodoro , due ingredienti che normalmente fanno parte della nostra pizza.
L’olio
extravergine d’oliva è ricco di acidi grassi monoinsaturi, ai
quali è stata attribuita scientificamente l’abilità di ripulire
l’apparato cardiovascolare dal colesterolo LDL, meglio conosciuto
come colesterolo “cattivo” (1). I migliori benefici si hanno se
quest’olio è consumato crudo, quindi non dobbiamo temere di
aggiungere ulteriormente un filo d’olio extravergine d’oliva alla
nostra pizza a fine cottura.
Il
pomodoro è ricco di vitamine e sali minerali, come del resto molte
verdure, ma esso contiene elevate quantità di licopene. Esso è uno
dei più importanti antiossidanti presenti in natura.
Le
proprietà e gli effetti del licopene sulla salute sono stati
studiati in laboratorio e anche direttamente sull’uomo. Alcuni
studi hanno dimostrato che un’assunzione costante di questa
sostanza riduce in maniera evidente problematiche di tipo
cardiovascolare (2). Altri studi hanno evidenziato, inoltre, che al
consumo di licopene, contenuto nel pomodoro e prodotti derivati, è
associato un rischio inferiore nell'insorgenza di tumori (3).
La
cosa più interessante è il fatto che il licopene è una sostanza
lipofila: il suo assorbimento nell'organismo è cioè più elevato
se assunto contemporaneamente ai grassi. Possiamo affermare quindi
che con l’aggiunta di un filo d’olio extravergine d’oliva alla
nostra pizza, come del resto abbiamo già consigliato, se è presente
anche il pomodoro facciamo veramente tombola!
Cristiano Cavina - La pizza per autodidatti - Marcos y Marcos
Talvolta un buon libro salta fuori dove meno te l'aspetti. E non te ne accorgi neanche tu direttamente, perché è tua moglie che ti tira una gomitata dicendoti: "Mica ti interessa quel libro lì?". E' andata proprio così, domenica 19 aprile, mentre aspettavo in coda, al cinema Fratelli Marx di Torino.
Una pizza a forma di cuore infranto ha colpito mia moglie. Risvegliatomi dal tipico torpore pomeridiano, ho afferrato il libro e ho avuto pochissimi minuti per guardarlo, perché stava per cominciare "Le vacanze del piccolo Nicolas".
In quel breve intervallo di tempo ho apprezzato il titolo: "La pizza per autodidatti", ho verificato - con esito negativo - di conoscere l'autore e ho letto qualche riga. L'ho trovato interessante perché il mestiere di pizzaiolo viene spiegato in modo pratico, a partire dall'esperienza dell'autore. Mi è sembrato anche molto divertente, perché l'autore è uno scrittore, non un serioso saggista.
Poi, mentre il film stava cominciando, ho riflettuto in questi termini: "Ma se un autodidatta diventa un pizzaiolo, allora a cosa serve frequentare un corso per pizzaioli? E' vero che se vai a lavorare in un posto dove trovi qualcuno bravo, dotato anche della tipica pazienza dell'insegnante, sei a posto, perché lui ti insegnerà il mestiere. Però non è detto che nella pizzeria che ti vuole assumere ci sia una persona che abbia tempo, voglia e capacità di starti dietro. Non tutti, come l'autore del libro, hanno lo zio pizzaiolo. Magari vogliono uno che sia già operativo, già formato e già in grado di lavorare. Bé, in questo caso il corso dell'Accademia Pizza e Scienza è perfetto, perché è corredato da un master formativo retribuito o da uno stage. Se fai il corso, a cosa ti serve il libro, scritto peraltro dal bravissimo Cristiano Cavina e pubblicato da Marcos Y Marcos? Ecco, però a questo punto la vera domanda da farsi è come sia possibile che una persona a caso desideri fare il pizzaiolo. Chi glielo dice cosa significa fare il pizzaiolo? E' un lavoro adatto a lui, oppure no? La risposta è proprio il libro di Cavina, perché lui racconta (molto bene) le gioie e i dolori del mestiere".
Cristiano Cavina
Terminato il film, ho ulteriormente esaminato il libro e l'ho acquistato. Nella settimana successiva mi sono reso conto che le mie impressioni erano corrette. Il libro di Cavina è proprio destinato a chi ama la pizza e a chi la vuol fare. Cristiano Cavina non ha "scelto" di fare il pizzaiolo: in un certo senso si è trattato di un matrimonio combinato, ma poi sono arrivate le soddisfazioni - sia economiche sia di realizzazione professionale. Prima le pizze si bruciano, poi sono crude, infine il forno non è a temperatura, e magari in quel momento hai tutti gli occhi puntati addosso. Ma poi passano i mesi e impari a fare le pizze. E tutti sono soddisfatti. Prima di tutti, tu - che hai un mestiere, un lavoro e uno stipendio. Grazie, Cristiano Cavina, per aver scritto questo libro. L'apprezzamento è condiviso dallo staff dell'Accademia Pizza e Scienza.